viernes, 4 de septiembre de 2009

Oggi come Ieri

Riporto qui di seguito alcuni passi tratti da "Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Giulio Einaudi Editore, Torino 2003, pp. 74-75 e 92-93-94".


[...] Ed ora essi hanno l'aria di essere soddisfatti! Di trovare che la società italiana è indubbiamente migliorata, cioè è divenuta più democratica, più tollerante, più moderna ecc. Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l'Italia: relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore. Non si accorgono che non c'è nessuna soluzione di continuità tra coloro che sono tecnicamente dei criminali e coloro che non lo sono: e che il modello di insolenza, disumanità, spietatezza è identico per l'intera massa dei giovani. Non si accorgono che in Italia c'è addirittura il coprifuoco, che la notte è deserta e sinistra come nei più neri secoli del passato: ma questo non lo sperimentano, se ne stanno in casa (magari a gratificare di modernità la propria coscienza con l'aiuto della televisione). Non si accorgono che la televisione, e forse peggio la scuola dell'obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie: ma considerano ciò una spiacevole congiuntura, che certamente si risolverà - quasi che un mutamento antrolpologico fosse reversibile. [...]

[...] L'Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione, da cui cerca di liberarsi solo nominalmente.
Tout va bien: non ci sono nel paese masse di giovani criminaloidi, o nevrotici, o conformisti fino alla follia e alla più totale intolleranza, le notti sono sicure e serene, meravigliosamente mediterranee, i rapimenti, le rapine, le esecuzioni capitali, i milioni di scippi e di furti riguardano le pagine di cronaca dei giornali, ecc. ecc. Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione. [...]

15 giugno 1975, in "Corriere della Sera", 9 novembre 1975



[...] E io sono qui, solo, inerme, gettato in mezzo a questa folla, irreparabilmente mescolato ad essa, alla sua vita che mostra tutta la sua "qualità" come in un laboratorio. Niente mi ripara, niente mi difende. Io stesso ho scelto questa situazione esistenziale tanti anni fa, nell'epoca precedente a questa, ed ora mi ci trovo per inerzia: perché le passioni sono senza soluzione e senza alternative. D'altra parte dove fisicamente vivere?
Ho "L'Espesso" in mano, come dicevo. Lo guardo, e ne ricevo un'impressione sintetica: "Come è diversa da me questa gente che scrive delle stesse cose che interessano a me. Ma dov'è, dove vive?" E' un'idea inaspettata, una folgorazione, che mi mette davanti le parole anticipatrici e, credo, chiare: "Essa vive nel Palazzo".
Non c'è pagina, riga, parola in tutto "L'Espresso" (ma probabilmente anche in tutto il "Panorama", in tutto "Il Mondo", in tutti i quotidiani e settimanali dove non ci siano pagine dedicate alla cronaca) che non riguardi solo e esclusivamente ciò che avviene "dentro il Palazzo". Solo ciò che avviene "dentro il Palazzo" pare degno di attenzione e interesse: tutto il resto è minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità...
E naturalmente, di quanto accade "dentro il Palazzo" ciò che veramente importa è la vita dei più potenti, di coloro che stanno ai vertici. Essere "seri" significa, pare, occuparsi di loro. Dei loro intrighi, delle loro alleanze, delle loro congiure, delle loro fortune; e, infine, anche, del loro modo di interpretare la realtà che sta "fuori dal Palazzo": questa seccante realtà da cui infine tutto dipende, anche se è così poco elegante e, appunto, così poco "serio" occuparsene.
[...] Gli intellettuali italiani sono sempre stati cortigiani; sono sempre vissuti "dentro il Palazzo". Ma sono stati anche populisti, neorealisti e addirittura rivoluzionari estremisti: cosa che aveva creato in essi l'obbligo di occuparsi della "gente". Ora, se della "gente" si occupano, ciò avviene sempre attraverso le statistiche di "Doxa" o "Pragma" (se ricordo bene i nomi). Per esempio è indecoroso occuparsi di casalinghe, nominare le quale può al massimo mettere in un'ottima disposizione di spirito: le casalinghe, a quanto pare, non possono essere che personaggi comici. E infatti su "L'Espresso" ci si occupa delle casalinghe - quasi animali enigmatici, lontani, perduti nella profondità della vita quotidiana - perchè una statistica di "Doxa" o di "Pragma" ha appurato che il loro voto è stato notevolmente importante per la vittoria comunista alle ultime elezioni. Cosa che ha fatto tremare il Palazzo, causando terremoti nelle gerarchie del potere.
Le casalinghe vivono nella Cronaca, Fanfani o Zaccagnini nella storia. Ma tra le prime e i secondi si apre un vuoto immenso, una "diacronia" che è probabilmente l'anticipazione dell'Apocalisse.
A cosa si deve questo vuoto, questa diacronia? Perchè la cronaca che è sempre stata così importante dal 1945 in poi, è ora chiusa in reparto stagno, relegata in un ghetto mentale? Analizzata, sfruttata, manipolata, è vero, in tutti i modi possibili suggeriti dalle norme del consumo, ma non collegata con la "storia seria", non resa, cioè, significativa?
[...]
"Corriere della Sera", 1° agosto 1975.

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